Signore e Signori, vi presento il paramedico!

So bene che in Italia il termine “paramedico”, nella sua originaria accezione etimologica di persona che sta accanto (“para'”, dal greco antico) al medico, è per gli infermieri come il rosso per il toro: li fa imbestialire.
Mi sono tuttavia reso conto, soprattutto nelle ultime settimane, che la maggior parte degli infermieri italiani è all’oscuro del fatto che nei Paesi anglosassoni la figura del paramedico (che da adesso in poi indicherò con il suo termine originale inglese paramedic) esiste davvero ed in UK costituisce una professione autonoma, con un proprio registro e percorso di formazione universitaria, altamente competitivo.
L’assistenza extraospedaliera ha una storia antica tanto quanto quella delle ambulanze, ma per molti decenni, ed in parte tuttora in alcuni Paesi (l’Italia, ad esempio, è spaventosamente arretrata nella legislazione in materia, va ammesso), l’evoluzione del ruolo dello specialista incaricato di prestare tale assistenza fuori dalle mura del’ospedale ha conosciuto una regolamentazione precaria e molto frammentaria, per cui chi lavorava sulle ambulanze era (ed è spesso, purtroppo) semplicemente incaricato di recuperare il paziente e trasportarlo in sicurezza fino al Pronto Soccorso.
Negli anni Settanta, tuttavia, a partire dagli Stati Uniti e poi in tutti i Paesi anglosassoni, allo scopo di evitare l’intasamento dei Dipartimenti di emergenza, si avvertì l’esigenza di definire la figura del professionista incaricato dell’assistenza extraospedaliera e di affidargli compiti più ampi, fino a trattare il paziente nella sua stessa abitazione ed a NON trasportarlo in ospedale (cosa che oggi avviene, in UK, nel 40-50 % dei casi).
Nacque così la figura del paramedic, che ha sicuramente conosciuto nel Regno Unito più di ogni altro Paese al mondo l’evoluzione maggiore, poiché qui tale professionista non opera più necessariamente con il supporto del medico, ma può prendere decisioni in merito al trattamento ed alla cura del paziente, anche prescrivendo e somministrando farmaci ed eseguendo procedure invasive, in totale autonomia.
Ovviamente seguendo protocolli operativi predisposti in collaborazione con i medici (ogni riferimento alla attuale situazione italiana non è puramente casuale).
I paramedics operano all’interno di Trusts dell’NHS, ovvero di aziende inquadrate nel Servizio Sanitario Nazionale inglese, ma sono presenti anche soggetti privati che reclut personale volontario, come il St. John Ambulance e la British Red Cross.
Il logo del London Ambulance Service, il più celebre Trust dell’NHS legato ai servizi di emergenza.
Svolgere l’attività di paramedic è estremamente stressante, soprattutto in grandi realtà metropolitane, recentemente interessate dal fenomeno della violenza giovanile e dal terrorismo, come Londra e Manchester: non lo si può nascondere, così come non si può trascurare il fatto che Trust come il London Ambulance Service, uno dei più grandi al mondo con i suoi 4.500 dipendenti, trovano estrema difficoltà a reclutare nuovo personale e nel 2014, ad esempio, sono arrivati fino in Australia per reclutare 175 paramedics e supplire, almeno in parte, alle carenze di personale, che ammontano almeno a 2.000 unità su tutto il territorio inglese.
Ambulanze e paramedics impegnati a fronteggiare l’emergenza verificatasi a seguito degli attentati terroristici del 7 luglio 2005 a King’s Cross e Russell Square, Londra.
Gran parte del personale già impiegato, inoltre, pianifica, secondo un sondaggio risalente allo scorso anno, di lasciare l’NHS, sopraffatti dall’incredibile pressione e responsabilità della professione.
Tutto ciò, nonostante lo stipendio di un paramedic sia spesso superiore a quello di un infermiere e parta, a seguito di un nuovo contratto collettivo stipulato nel 2016, dall’inquadramento come band 6 e da un salario di circa 26.000 sterline, corrispondenti a 29.000 euro annui (fonte: www.nationalcareersservice.direct.gov.uk).
Senza considerare turni notturni e festivi ed il bonus (l’High Cost Area Supplement) previsto per chi vive a Londra.
Tornando al profilo professionale, la formazione universitaria di questa figura è articolata in corsi che vanno sotto la denominazione di Paramedic Science, hanno una durata triennale e sono abilitanti alla professione, che però può essere esercitata solo previa iscrizione presso l’HCPC, Health and Care Professions Council.
Sono ovviamente previsti corsi avanzati e specializzazioni, spesso predisposte dagli stessi Trusts, fino a conseguire la qualifica di specialist, advanced o consultant paramedic, che hanno competenze (e stipendio) molto più elevati.
Le analogie con la figura infermieristica, dunque, sono evidenti, e trovano ulteriore conferma nel fatto che anche il paramedic si giova del supporto di figure ausiliarie, quali:
– l’ambulance care assistant/patient transport service driver, ovvero l’autista di ambulanza;
– l’emergency care assistant, paragonabile all’Oss extraospedaliero, in grado però di controllare sanguinamenti, di trattare ferite e fratture, di usare il defibrillatore semiautomatico;
– il call handler/emergency medical dispatcher, che riceve le chiamate e dispone il mezzo di trasporto (ed il personale) adeguato a gestire una determinata emergenza.
I paramedics inglesi ed i loro mezzi si incontrano per le strade ed i luoghi pubblici di Londra quasi una volta al giorno e sono ampiamente riconoscibili per la loro uniforme verde scuro, mentre l’arrivo dei mezzi si avverte distintamente per la straordinaria intensità sonora della loro sirena (non chiedetemi il perché) e per i “battenburg markings”, la tipica scacchiera giallo-verde altamente riflettente.
Paramedici impegnati nel trasporto di un paziente.
I servizi di emergenza, ovviamente, non si servono solo di ambulanze attrezzate, ma operano anche attraverso automediche, elicotteri (famoso il London Air Ambulance, presso il quale ha presto servizio in più occasioni anche il Principe William) moto e perfino biciclette, a seconda delle caratteristiche e del luogo in cui si verifica l’incidente: non a caso, requisito indispensabile, per l’assunzione in un Trust (ma spesso anche per l’ammissione ad un corso universitario) è l’aver conseguito una patente di guida e l’aver guidato in UK (dove, non dimentichiamolo, ha la precedenza chi guida sulla corsia sinistra) da almeno due anni.

Una tipica ambulanza del London Ambulance Service.

Ambulanza a sirene spiegate.

Un elicottero del London Air Ambulance, fotografato (presumo) dall’ampia piattaforma sul tetto del Royal London Hospital.
Paramedici in pausa sulle moto in loro dotazione.
Una bicicletta del London Ambulance Service.
Va sottolineato, comunque, che i paramedics non prestano la loro attività esclusivamente sui mezzi di trasporto, potendo essere impiegati anche nei Dipartimenti di Pronto Soccorso (A&E), negli ambulatori del medico di famiglia (GP Practices), oppure in altre strutture extraospedaliere, come i punti di primo soccorso (Urgent Care Services).
Veniamo ora alla parte dolente, almeno per i professionisti italiani.
Si scriveva, in precedenza, delle competenze e delle responsabilità avanzate e specialistiche degli specialist, advanced e consultant paramedic.
Queste figure, a seconda del titolo acquisito di prescrivere e somministrare autonomamente, secondo protocolli, più di 60 farmaci, tra cui l’adrenalina, l’amiodarone, eparina, morfina, naloxone, midazolam ed ovviamente ossigeno ed entonox (miscela costituita in egual misura da ossigeno ed ossido di diazoto, con effetti anestetici e sedativi), ma anche farmaci non impiegati in emergenza, come antibiotici e steroidi.
I paramedics esperti possono inoltre arrivare ad eseguire procedure di intubazione endotracheale, di cricotirotomia (ovvero, in termini “profani”, di apertura di un foro tracheale per consentire l’ossigenazione) con ago, toracentesi con ago, incannulamento intraosseo, trombolisi, defibrillazione senza impiego di macchinario semiautomatico.
Un elenco di competenze da far impallidire professionisti esperti di tutto il mondo.
Possono diagnosticare un infarto con elevazione del tratto ST ed inviare il paziente ad effettuare un intervento di angioplastica senza transitare dal Pronto Soccorso.
Lo stesso dicasi nell’evenienza di un ictus (denominato stroke in inglese), come si evince dal video seguente, nel quale si spiega, peraltro (provate ad usare i sottotitoli per comprenderlo meglio), che, seguendo un protocollo nazionale che abilita i paramedici a bypassare il Pronto Soccorso, ha ridotto i tempi per l’effettuazione di una TAC d’urgenza si sono ridotti da 60/90 minuti a 30/40.
[youtube=https://www.youtube.com/watch?v=bIbXxbJwGxM&w=320&h=266]
Considerato, come spiega un medico nel video, che ogni minuto, durante un ictus, muoiono due milioni di neuroni, le probabilità di pieno recupero per un paziente raddoppiano, grazie a questa nuova metodologia di gestione dell’assistenza extraospedaliera.
Se si vuole muovere, tra i tanti, un significativo passo nella direzione di promuovere competenze specialistiche ed avanzate dell’infermiere in molti contesti – a partire da quello dell’assistenza extraospedaliera – un’ottima proposta sarebbe allora quella di istituire e regolamentare anche in Italia la figura del paramedic, plasmandola proprio sul modello inglese (magari usando un nome differente, privo della connotazione negativa che ha in Italia) e scegliendo secondariamente se inquadrarla istituzionalmente come specializzazione dell’infermieristica di area critica o come disciplina autonoma, con Albo e Ordine indipendenti.
Mettiamo da parte il patrio orgoglio e non vergogniamoci di scopiazzare: non dimentichiamoci che il Servizio Sanitario Nazionale, nel 1978, fu istituito proprio prendendo l’NHS come riferimento. Auspico con tutto il cuore che tale evoluzione possa presto avvenire, superando le resistenze della classe medica (e – ahimè – anche della politica e dell’opinione pubblica) e ponendo fine all’odierna situazione di estrema incertezza sul chi possa fare cosa nel contesto extraospedaliero, incertezza di cui, ovviamente, i pazienti sono sempre le vittime innocenti.
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