PROFESSIONE INFERMIERE: Giorno dopo giorno, muore una parte di noi

Gentile Lettore,

Sono al sesto anno di carriera infermieristica e nonostante le difficoltà e la criticità gravi di questa nobile professione, non posso negare le soddisfazioni e la passioni che tuttora mi dona.

Noi infermieri siamo cosi strettamente legati nel connubio infermiere-paziente, che troppo spesso ci si ritrova a somatizzare ed condividere le esperienze dei nostri pazienti. Vediamo da prospettive differenti quelle realtà che i più sfortunati affrontano una volta nella vita, preferibilmente nella loro anzianità. Siamo costretti a rivivere queste esperienze giorno dopo giorno, in una sequenza che talvolta sembra mirare all’infinito, con la consapevolezza, che un giorno potremmo provarle sulla nostra pelle.

La nostra carriera è dipinta da una lista di esperienze che si colorano di cupi momenti di tristezza, malinconia e stress, contornati da più vividi momenti di serenità.

Non dimenticherò mai A., un mio paziente sulla quarantina che si presentò nell’unità di assessment per dolore in quadrante superiore destro. Sospettando una litiasi della colecisti, decisi di effettuare degli esami ematici e prenotare un ecografia urgente. Come da protocollo però, prenotai una lastra del torace, per escludere una possibile perforazione (interpretabile come aria sotto il diaframma). La lastra si presentò pressapoco come quella accanto. Allarmato da un’immagine che mostrava delle “ombre sospette” chiamai urgentemente il chirurgo di turno, chiedendo di controllare l’RX; dall’altro capo del telefono mi rispose: “Quelle sembrano metastasi, facciamogli una TAC”.
La prenotai e il risultato fu quanto sospettato. Le lesioni tumorali nei polmoni erano secondarie a metastatizzazione di lesione carcinomatosa del colon.
Ricordo ancora chiaramente quando io e il chirurgo chiamammo A. nella saletta per comunicargli quanto scoperto. Lui era shockato, ma sembrasse non realizzare la gravità del problema. Io dall’altra parte ero stato colpito in pieno stomaco e guardavo il paziente quasi a chiedere perdono per quanto scoperto.

Strana sensazione quella di sentirsi in colpa per essere colui che ha trovato la diagnosi che ti ha condannato. Quella diagnosi che molto probabilmente non ti da scampo. Vorresti chiedergli scusa. Ma di cosa esattamente? Risulta difficile persino consolarlo. Non puoi dirgli che tutto andrà bene o che risolveremo il problema. Quindi rimani li con il tuo paziente, aspettando che ti chieda qualcosa, sperando di essere in grado di rispondergli. Lui parla e tu ascolti, senza mai interromperlo.

Quella però fu la prima di una lunga lista. Tra un appendicite ed un ascesso, tra una colica renale ed una colecistite c’era sempre una “scoperta accidentale”. Quando inizi ad investigare, si trova sempre qualcosa, forse per questo che nell’ambito sanitario gli operatori sono così negletti. Si lavano le mani 200 volte in una giornata ma difficilmente andranno a indagare sui loro problemi.

Ogni volta che uno dei tuoi pazienti muore a seguito di una tua scoperta accidentale, qualcosa in te cambia: inizi a fare amicizia con i tuoi pazienti, sempre di più; senti il dovere di dargli il massimo supporto e la maggior parte dei pazienti sembrano capire, che sei più premuroso con coloro che si portano il macigno più pesante.

Come potrei mai dimenticarmi di J., una donna sulla cinquantina, innamorata del mio accento italiano e dei lineamenti mediterranei. Ogni volta che veniva nell’unità operativa, portava qualcuno di diverso, le amiche, la madre, le figlie e persino il marito. Voleva che li conoscessi tutti. E voleva che loro conoscessero di persona l’italiano che si prendeva cura di lei e delle innumerevoli ferite causate dai trattamenti chirurgici.
Io sorridevo e chiacchieravo con tutti. La diagnosi di J. non era per niente buona. Il chirurgo nel suo caso pronunciò la parola che ti condanna a morte certa: “inoperabile”. Cancro, sempre cancro. Ogni volta è quella la condanna a morte.
J. veniva in clinica facendomi complimenti per il nuovo taglio di capelli, i baffi ed ogni volta sembrava flirtasse. Io ridevo, gli cantavo canzoni italiane mentre la accompagnavo in saletta con la sedia a rotelle. Gli altri pazienti in sala d’attesa non erano per niente turbati da questi comportamenti. J. ormai era costretta su una sedia a rotelle, non aveva più capelli, J. stava morendo, sotto gli occhi di tutti.
Un giorno mi chiese di controllare una delle sue ferite chirurgiche, sentiva una massa. Pensai ad una ernia incisionale, non rara in soggetti con stomie e con una cronologia chirurgica così vasta. La portai in sala ed esplorai la ferita, mi resi conto sin da subito che non era quanto sospettato. Nella cavità addominale si “nascondeva” un ascesso di vaste dimensioni e quantità. In pochi minuti avevo raccolto circa 900ml di liquido, che aveva il classico odore di batteri gram negativi. Rimasi così sorpreso dalle quantità del drenato che dovetti chiamare il chirurgo, lui visitò J. e decise di effettuare una TC. Il report di quella scan era funesto, mentre lo leggevo, sembrava quasi fosse infinito, per un momento pensai non descrivesse nemmeno la stessa persona. Come poteva ancora essere in vita?
L’ultima volta che l’ho vista, mi disse di aver visto una pubblicità in TV di un trimmer per i miei baffi, e che me l’avrebbe regalato per natale. J. non vide mai quel natale.

Le relazioni ogni volta sono differenti: con alcuni stringi un rapporto più stretto, con altri sei costretto a rimanere più distante ed altri invece con te non vogliono avere niente a che fare.
Tu sei un infermiere, il tuo lavoro e prenderti cura di loro ed accetti qualsiasi sia il rapporto che loro vogliono avere.
Ricordo a me stesso che si deve essere amichevoli con tutti i pazienti, ma non essere mai amici, per non influenzare il proprio giudizio clinico. Magari fosse così facile.

La vigilia di natale ricevetti una notizia inaspettata. Uno dei miei pazienti, che trasferimmo ad un ospedale più grande e specializzato, era morto.
P. aveva 30 anni (eravamo quasi coetanei) e ricordo perfettamente quando lo visitai per la prima volta:

  • Dolore in fossa iliaca destra, negativo al segno di Rovsing,
  • Proteina C reattiva e i globuli bianchi erano nei range.

Solitamente in fossa iliaca destra le più comuni patologie chirurgiche per un maschio adulto sono: Appendicite o tumore/ostruzione in zona Ileo-ciecale, quest’ultima rarissima in un paziente di 30 anni. Teorizzai che potesse essere un’appendicite ai primi stadi ma appena notai una linfoadenopatia in zona inguinale, dovetti ricorrere al supporto del chirurgo.
Il chirurgo, voleva vederci chiaro, si eseguirono TC e addirittura una laparoscopia esplorativa, prendendo delle biopsie. Dopo quel momento non lo vidi più, fu trasferito di reparto, poi d’ospedale.
Lo vidi di sfuggita mentre lo trasferivano, ebbi pochi secondi per chiedergli come stesse; P. era su una lettiga, pallido e cachettico, mentre si allontanava nel corridoio, alzò il pollice.
P. morì dopo qualche giorno, non mi è dato sapere la diagnosi.

Ad ogni brutta notizia ti guardi attorno con malinconia pensando a chi sarà il prossimo, per poi sentirti in colpa per questo pensiero. Speri che possano vivere i loro ultimi momenti con le loro famiglie e senza dolore. Gli infermieri palliativisti fanno un lavoro eccellente, danno un supporto costante e continuativo lavorando molto sulla sfera emotiva e psicologica.

S. è uno dei miei pazienti con cancro al colon. Ultimamente, S. ha avuto dei problemi di ritenzione urinaria quindi abbiamo deciso insieme di inserire un catetere vescicale, attendendo una visita urologica che ho prenotato per lui. Ogni qualvolta S. ha un problema mi chiama telefonicamente, oppure viene direttamente nel reparto per prendersi una tazza di té e chiacchierare.
Non è nelle policies utilizzare il tempo di un Nurse Practitioner o Charge Nurse (infermiere coordinatore) per chiacchierare e bere té, ma non mi interessa. S. è una bravissima persona ed è paziente, sa che dovrà aspettare che io mi liberi prima di riceverlo; lui si siede nella sala d’attesa e legge il giornale in religioso silenzio. S. ultimamente ha avuto dei problemi famigliari, la moglie sta molto male; me lo ha detto quando è venuto a natale per portarmi una scatola di biscotti.
Gli è arrivata voce che ho consegnato le mie dimissioni e che mi trasferirò a breve; mi ha abbracciato e mi ha detto di essere triste per la mia partenza ma felice e speranzoso per il mio futuro.

Ancora una volta, un immotivato senso di colpa si è fatto avanti.

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