Safe staffing legislation: imporre per legge un adeguato rapporto tra infermieri e pazienti serve davvero?

E’ il caposaldo dell’infermieristica: l’assistenza si compone di gesti, parole, anche di elementi immateriali, come la compassione.

Per fare assistenza, quindi, servono le persone. Ad oggi, nessun robot o computer è ancora in grado di sostituire l’uomo, nell’assistere un paziente e nel riconoscere e soddisfare i suoi bisogni di salute.

Ma quante persone servono esattamente? La risposta, ormai, è nota ed in molti, dai rappresentanti istituzionali, ai ricercatori, ai sindacalisti, fino ai singoli professionisti, la ripetono come un mantra.

Per quanto riguarda lo staffing, la letteratura internazionale, condensata nel prestigioso studio RN4Cast del 2016, indica come ideale un rapporto infermiere/paziente, nei reparti ospedalieri, di 1 a 6. Gli studi individuati hanno dimostrato come un aumento di questo rapporto, aggiungendo un paziente ad ogni infermiere, aumenta del 6% la mortalità e del 23% le cure mancate.
Ad oggi, il rapporto 1/6 è un obiettivo mancato e quasi irraggiungibile, in molte aree e strutture, dall’Italia al Regno Unito.

Servono più infermieri, molti di più.

Ma formare ed assumere più professionisti rappresenta davvero la soluzione, l’uovo di Colombo insomma, per garantire l’efficienza e la qualità nei sistemi sanitari pubblici?
Per rispondere al quesito, è necessario prendere in considerazione l’esempio di chi, da un paio d’anni, ha pensato di rendere obbligatorio, attraverso un’articolata normativa, il rispetto di determinati parametri relativi al rapporto tra infermieri e pazienti.

Attraverso il Nurse Staffing Levels Act del 2016, infatti, il Galles è stata la prima Nazione europea ad introdurre per legge livelli di personale che garantiscano adeguati standard di sicurezza per i pazienti: vale a dire, il safe staffing.
Il modello gallese ha generato una reazione a catena nelle altre Nazioni costitutive del Regno Unito, tanto che lo scorso Maggio il Governo scozzese ha emanato un disegno di legge denominato “Health and Care (Staffing) Bill”, attualmente al vaglio del Parlamento e delle parti sociali, mentre in Inghilterra l’RCN ha avviato un’imponente campagna per l’introduzione di una legislazione sul safe staffing.

In concreto, la normativa adottata in Galles prevede che un infermiere senior (un line/ward manager, un matron, ma anche, più in generale, un nurse in charge), in genere attraverso uno specifico software, calcoli il numero di infermieri necessario a fornire assistenza in un reparto medico o chirurgico, operando una triangolazione che consideri:

– acuità, ovvero complessità assistenziale, dei pazienti (patient acuity), a sua volta basata su un altro documento del 2014, il Welsh Levels of Care, che definisce, in base ad evidenze scientifiche, 5 livelli di acuità, dalla routine care fino alla one-to-one care, nelle terapie intensive;

giudizio professionale (professional judgement), che include il livello di competenza e di esperienza, nonchè il numero di operatori di supporto, studenti, infermieri interinali, od agency, necessari a sopperire lacune temporanee, ad esempio per congedi per malattia e maternità;

indicatori di qualità (quality indicators), ovvero tutti quegli elementi di benessere del paziente strettamente legati all’assistenza infermieristica ed influenzati in negativo dal numero di infermieri presenti (ad esempio, cadute, lesioni da pressioni, errori nella somministrazione della terapia).

I primi audit condotti su questo modello, tuttavia, non si sono rivelati incoraggianti.

Non solo la legislazione, ma soprattutto la mancanza di un aumento significativo dei salari per i lavoratori dell’NHS in Galles hanno comportato un forte aumento della spesa del personale agency, ovvero interinale.

Secondo il rapporto del Wales Audit Office, infatti, la spesa totale per i lavoratori agency, nel servizio sanitario gallese, è stata di 135,7 milioni di sterline nel 2017-18 – con un aumento del 171% rispetto al 2010-11, quando la cifra ammontava a circa 50 milioni di sterline.
Solo per gli infermieri e le ostetriche, nello stesso periodo 2017-18 la spesa è stata di 52 milioni di sterline.

Per gli autori del rapporto, uno dei principali fattori di incremento di questa spesa è stato rappresentato proprio dal tentativo, da parte dei Trust, di rientrare nei criteri previsti dal Nurse Staffing Levels Act del 2016.
Tra le altre considerazioni, lo studio afferma: “prove aneddotiche suggeriscono che la mancanza di crescita dei salari del settore pubblico ha rappresentato un fattore chiave per il personale, che si registra con agenzie per coprire turni aggiuntivi, oppure semplicemente lascia posti di lavoro permanenti, per rimanere esclusivamente alle dipendenze di una o più agenzie“.
Altri motivi per l’aumento della spesa totale per agenzia includono:

  • l’aumento delle tariffe orarie addebitate dalle agenzie ai Trust;
  • le carenze di competenze nell’ambito del personale NHS;
  • difficoltà a reclutare e mantenere personale.

La direttrice ad interim del sindacato RCN in Galles, Helen Whyley, ha avvertito che un’eccessiva dipendenza dagli infermieri agency può influire sulla cura del paziente.
E’ improbabile che gli infermieri delle agenzie abbiano familiarità con l’ambiente ospedaliero o comunitario in cui vanno a coprire i loro turni di lavoro, pertanto la produttività e gli esiti dell’assistenza ai pazienti saranno notevolmente ridotti“, ha affermato.
La direttrice ha aggiunto che è necessario fare di più per reclutare e mantenere gli infermieri nell’ambito dell’NHS gallese ed ha chiesto che vengano resi disponibili altri posti per studenti infermieri.
Un portavoce del governo locale ha invece parzialmente respinto le conclusioni del rapporto, sostenendo che sono stati introdotti diversi processi di gestione per ridurre le spese di agenzia e sottolineando che la spesa per il personale delle agenzie è stata inferiore di 30 milioni di sterline nel 2017-18, rispetto all’esercizio finanziario precedente.

Il messaggio è chiaro e forte: obbligare per legge al rispetto di parametri nella composizione dei livelli organici, senza intervenire alla radice del problema, ovvero sui motivi per cui i sistemi sanitari pubblici faticano a formare e reclutare infermieri, genera solo un aumento della spesa, senza necessariamente dare luogo ad un miglioramento degli outcome assistenziali.

Perfetto. Investiamo allora maggiori risorse nel percorso di studi universitari, eliminando il numero chiuso negli atenei italiani, come la stessa Fnopi ha proposto al Ministero della Salute, oppure ampliando il numero di quelli disponibili in UK.
Avremo così un numero sufficiente di professionisti, tale perfino da rendere sensata l’introduzione di una normativa sul safe staffing.

Abbiamo risolto il dilemma? Consentitemi di esprimere la mia perplessità.

In primo luogo, secondo una stima ricavata dall’annuale rapporto OCSE sull’istruzione nel nostro Paese (Education at a glance), la spesa per studente, in Italia, ammontava a 11.500 dollari l’anno nel 2014, per cui un semplice calcolo matematico ci porta dritti dritti alla conclusione che le 50.000 carenze di personale infermieristico della nostra sanità pubblica potrebbero essere colmate solo iniettando risorse finanziarie, nel sistema universitario, pari a 1.725 milioni di dollari, circa un miliardo e mezzo di euro, una cifra sicuramente importante.

A ciò va aggiunto il mio personale cavallo di battaglia: come già affermato in altri articoli, l’infermiere è responsabile, ex d.M. 739/94, dell’assistenza, ma ciò non implica – né lo ha più implicato, da diversi decenni – che debba essere necessariamente anche esecutore materiale delle attività in cui essa si articola, dovendo invece rappresentarne primariamente il pianificatore ed il controllore.

In altri termini, per quanto sia auspicabile rinforzare le fila dei giovani professionisti nel nostro Paese ed anche fissare nella norma parametri per il mantenimento di livelli organici atti a garantire la sicurezza dei pazienti, non è indispensabile che ciò debba avvenire solo attraverso infermieri laureati.
L’obiettivo di un sistema sanitario sicuro, efficace ed efficiente può invece essere raggiunto, peraltro con un aggravio di spesa inferiore, rimpolpando gli organici delle figure di supporto, ancora oggi numericamente minoritarie rispetto agli infermieri, lasciando a questi ultimi la funzione loro attribuita dalle normative vigenti: la responsabilità, quindi il coordinamento, del processo assistenziale.

Luigi D’Onofrio per Italian Nurses Society

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